Si riporta il case report di una paziente:

Case report di una paziente che ha avuto una frattura spiroidea del terzo metatarso ed ha sviluppato dopo 7 anni un “Alluce rigido di secondo grado” per deambulazione disfunzionale.

Paziente di 43 anni che in seguito ad una caduta con piede bloccato in un tombino ha riportato la frattura spiroidea del terzo metatarso. E’ stata sottoposta ad intervento chirurgico di osteosintesi con placca e viti della frattura in Germania dove si trovava in vacanza.  La paziente dopo due mesi dall’intervento è tornata a lavorare.

radiografia post chirurgica

Trattamento con IASTM ONE per mobilizzare le aderenze della cicatrice post chirurgica.

Molti conoscono la patologia dell’alluce valgo, al contrario molto meno conosciuto, benché assolutamente frequente, è l’alluce rigido.

Se l’alluce valgo può essere definito come la prima causa di chirurgia di piede e caviglia nella donna,

l’alluce rigido è la prima causa di chirurgia del piede nell’uomo e la seconda nella donna.

Questi dati da una parte ci aiutano a capire quanto sia diffusa questa patologia, dall’altra ci fanno riflettere sul fatto che avere una determinata “caratteristica ossea” non sia sempre indice di patologia a priori, se ben tollerata e asintomatica.

L’alluce rigido, come il termine stesso ci fa capire, è un alluce con un movimento limitato soprattutto in dorsi flessione [mezzapunta].

Questo è dovuto all’elevazione del primo metatarso che va a limitare e talvolta proprio impedire il movimento, tra il metatarso stesso e la falange prossimale dell’alluce.

Si tratta di una caratteristica anatomica congenita: si nasce con l’alluce rigido.

È vero che questo può però non dare parvenza di sé, soprattutto nei primi decenni di vita, e comparire solo tardivamente.

Altre volte questa limitazione invece diventa dolorosa già nell’età giovanile.

L’alluce rigido, non facilmente identificabile quanto l’alluce valgo, ha comunque dei segni tipici quali una sorta di “cipolla” che però, al contrario dell’alluce valgo, compare dorsalmente sul primo dito [detta esostosi dorsale], una callosità di compenso sulla falange distale, segni di sovraccarico dei metatarsi minori con callosità plantari multiple.

Il dolore che ne consegue quindi può riguardare l’alluce, ma non di rado anche o solamente le dita e i metatarsi minori.

Questo sorprende spesso i pazienti che non comprendono perché, se il loro dolore è a livello della pianta del piede in prossimità dei metatarsi, si debba pensare ad una patologia che riguardi l’alluce [che magari non fa neanche male].

Per capire questo aspetto basilare bisogna fare un cenno di biomeccanica, senza complicarci troppo la vita.

Nel momento in cui l’alluce, seppur asintomatico, ha una rigiditàperde la sua funzione propulsiva durante la fase del passo.

Ancora un passo indietro, scusandomi per il gioco di parole.

Il passo è composto da tre fasi fondamentali:

  1. quella di appoggio del tallone;
  2. successivamente della parte plantare del piede;
  3. per ultima la fase propulsiva governata dall’avampiede e in particolar modo dall’alluce.

È l’alluce infatti, meglio ancora, il primo metatarso, che ha il maggior ruolo propulsivo in questa fase.

Nel caso di un alluce rigido, questa fase propulsiva viene meno o è fortemente limitata.

Questa limitazione porta quindi ad un sovraccarico dei metatarsi minori, che si ritrovano a dover sopperire al lavoro non svolto dall’alluce.

Il sovraccarico causato da questo continuo sforzo dei metatarsi porta quindi ad una infiammazione degli stessi e ad un tentativo di protezione: l’ipercheratosi plantare [calli plantari in corrispondenza dei metatarsi].

Ecco perché, per quanto si cerchi di rimuovere i calli, si continueranno a riformare se non viene risolta la causa del problema.

Allo specialista basterà valutare i due piedi nudi in carico per capire quale sia il problema.
In caso di alluce rigido, infatti, è solitamente ben visibile l’esostosi dorsale, talvolta inoltre, la falange distale ha la tendenza, per un meccanismo di compenso, a rimanere appena sollevata, portando l’unghia a battere contro la calzatura dorsalmente.

Molti pazienti lamentano una associata metatarsalgia o a volte solo quella, a causa del sovraccarico, come spiegato poco sopra.

In questi pazienti la callosità plantare può essere molto evidente e dolorosa tanto da rappresentare il problema principale. All’alluce rigido poi si possono associare altre patologie.

Per esempio, le dita a griffe o a martello come conseguenza, non della mancanza di spazio tipica dell’alluce valgo, ma del sovraccarico laterale.

In altri casi si può diagnosticare un piede piatto che non di rado si associa all’alluce rigido. Questi pazienti non sono a priori dei candidati chirurgici anche per la patologia del retropiede [il piede piatto]: è importante infatti valutare se ci troviamo davanti ad un piattismo fisiologico o se si tratta di una deformità patologica che richiede quindi un trattamento.

La diagnosi e la valutazione si conclude con una radiografia del piede o dei piedi interessati in carico cioè eseguita stando in piedi.

Questo rappresenta l’esame di primo livello più utile per completare la diagnosi. Alla radiografia potranno essere evidenti i tipici segni della rigidità del primo metatarso come l’esostosi dorsale e, nei casi più avanzati, segni di degenerazione articolare ovvero una vera e propria usura dell’articolazione.

L’inizio di un trattamento deve sempre o molto spesso prendere in considerazione terapie conservative. Tuttavia, bisogna essere attenti e programmarle in base ai sintomi.

Se parliamo di plantare è bene per esempio sottolineare che questo può essere molto utile nel caso di una metatarsalgia, ovvero di un dolore sotto la pianta del piede, al contrario si tratta di una terapia inutile se il dolore che il paziente riferisce è a livello dell’esostosi dorsale che “batte” contro la calzatura.

Quando la sintomatologia principale deriva dall’alluce [a livello dell’articolazione metatarso-falangea o a livello dell’interfalangea dell’alluce] un aiuto può venire dalla scelta della calzatura e, in particolare, da quelle che hanno una suola curva [scientificamente definite come rocker-bottom], note con nomi commerciali come MBT, per esempio.

Si tratta di calzature con un design che favorisce la fase di spinta del passo, che è quella resa più difficile dalla rigidità dell’alluce.

Anche le terapie fisiche possono essere un valido aiuto nel caso di dolori legati ad un viziato appoggio e quindi ad una cattiva deambulazione.

Non di rado le terapie palliative non riescono a portare ad una soddisfacente risoluzione della sintomatologia, proprio in quanto palliative, cioè non in grado di risolvere il problema alla fonte, ma solo di trattarne i suoi sintomi, ecco quindi che entra in gioco la chirurgia.

Come nell’alluce valgo, anche nell’alluce rigido l’unico modo per risolvere realmente il problema è quello di correggere l’anatomia ossea e quindi di ricorrere all’intervento chirurgico.

Questo non deve essere un invito per tutti i pazienti a farsi operare indistintamente e senza indugio, ma semplicemente una constatazione che li porti ad affrontare il problema seriamente e rivolgendosi a chi è competente, tenendo presente che alcuni metodi, tra cui pediluvi, creme, massaggi, tutori risultano assolutamente inutili.

La correzione dell’alluce rigido non è, come del resto la maggior parte delle patologie ortopediche, un intervento salva-vita, detto questo è importante che venga data la corretta indicazione e che il paziente capisca che ricorrere alle terapie conservative è doveroso, ma non risolutivo in termini assoluti.

La chirurgia si avvale di soluzioni chirurgiche mininvasive per i casi in cui la sintomatologia proviene principalmente dall’ingombro dell’esostosi dorsale.

Sono pazienti che non hanno dolore a muovere l’alluce, ma che lamentano un dolore da sfregamento sul dorso della scarpa: in questi casi la chirurgia percutanea rappresenta la soluzione.

Esistono poi casi in cui la sintomatologia è ascrivibile maggiormente al danno articolare preartrosico.

Sono i pazienti candidati alle osteotomie correttive [ovvero tagli ossei]. Questo ci permette di abbassare e ri-orientare il primo metatarso, andando ad effettuare una vera correzione sull’anatomia del piede.

Spesso a questa procedura si deve aggiungere un tempo chirurgico accessorio sui metatarsi minori per eliminare la fastidiosa e dolorosa metatarsalgia.

Questo secondo passaggio viene solitamente eseguito accedendo ai metatarsi tramite piccoli buchini quindi con tecnica mini-invasiva.

Vi sono casi in cui però la degenerazione articolare è molto importante, tanto da non poter prendere in considerazione una chirurgia che ci permetta di conservare il movimento.

In questi casi l’intervento di scelta rimane l’artrodesi del primo metatarso.

Benché si tratti di una tecnica meno conservativa, la sua invasività è molto ridotta grazie ai piccoli accessi chirurgici e consente un pieno recupero della deambulazione che non viene compromessa, ma compensata dalla falange distale. I tempi di recupero sono gli stessi per le due tipologie di intervento.

DECORSO POST-OPERATORIO E RITORNO ALL’ATTIVITÀ SPORTIVA

Questa tipologia di intervento viene eseguito in regime di day-hospital dando la possibilità al paziente di dormire nel proprio letto la notte dopo l’intervento.

Grazie all’anestesia periferica che tiene l’arto addormentato per varie ore dopo l’intervento, l’intensità del dolore, nel momento in cui si presenta, è sicuramente gestibile con gli antidolorifici.

Il paziente uscirà dalla sala operatoria con un’apposita medicazione che non dovrà essere rifatta autonomamente. Saremo noi a 15 giorni dall’intervento [primo controllo] a rimuoverla, insieme ai punti e a rifarne una nuova, più leggera, da tenere per ulteriori 15 giorni.

La scarpa post-operatoria è la scarpa piana, che permette un corretto appoggio, favorendo una deambulazione più spontanea. Questa scarpa dovrà essere indossata ogni volta che si appoggia il piede a terra per 30 giorni.

È fondamentale che il paziente non cammini in assenza della scarpa post-operatoria per la corretta guarigione ossea.
L’utilizzo della scarpa permette al paziente di camminare fin da subito senza l’ausilio delle stampelle che tuttavia alcuni pazienti preferiscono portare per sicurezza nei primi giorni.

30 giorni dall’intervento avverrà il secondo controllo con una radiografia del piede operato in carico. Durante questo controllo, valutando la radiografia, viene quindi deciso di rimuovere la scarpa post-operatoria e il paziente potrà riprendere a camminare normalmente con una scarpa comoda.

Le settimane successive possono prevedere un po’ di gonfiore e la ricomparsa di un dolore lieve legato al maggior utilizzo del piede. Questo non deve spaventare: è il normale percorso dopo l’intervento.

Qualche numero può sicuramente aiutare a capire e gestire al meglio il decorso post-operatorio:

  • la scarpa post-operatoria viene rimossa a 30 giorni dall’intervento;
  • a 30 giorni dall’intervento si torna ad usare una scarpa comoda [da ginnastica];
  • si torna a guidare la macchina a cinque settimane;
  • si torna ad indossare le scarpe più impegnative, come i tacchi alti, a 90 giorni.

Per la ripresa dell’attività sportiva e quindi di attività ad alto impatto, bisognerà aspettare 2-3 mesi dall’intervento quando verrà effettuato l’ultimo controllo. Alcune attività come lo yoga possono essere praticate già a cinque settimane dall’intervento.


LA RICERCA SCIENTIFICA DEL GRUPPO del dottor Usuelli Federico – Milano

Il tema dell’alluce rigido è stato il primo tema a cui in prima persona mi sono dedicato nella mia storia professionale.

I risultati dei miei studi hanno portato a identificare nella deformità scheletrica una delle possibili cause dell’alluce rigido: il primo elevato.

Questo giustifica la sintomatologia dei pazienti ed il razionale della soluzione chirurgica di osteotomia. L’obiettivo è di riallineare il metatarso e favorire il ripristino della fisiologia dell’articolazione.

Fonte originale: https://www.federicousuelli.com/patologie/alluce-rigido/?gclid=CjwKCAjwvMqDBhB8EiwA2iSmPHbz4EZ_

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Sitografia interessante:

  1. https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/26320555/
  2. https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/28607766/
  3. https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/28567339/
  4. https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/32030657/
  5. https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/31839478/