A cura : prof. Rosario Bellia
. Docente di taping kinesiologico® presso Università Statale di Valencia (Spagna)
. Fisioterapista della nazionale italiana della F.I.H.P.
. Presidente dell’Associazione Italiana Taping Kinesiologico
Il taping kinesiologico viene usato in ambito sportivo: prima, durante e dopo il gesto atletico. Prima per preparare, per prevenire e dopo per defaticare. Inoltre aiutare l’organismo al recupero dei processi infiammatori e gli squilibri del tono muscolare, che danno origine a “retrazioni”, utilizzando tecniche specifiche.
L’innovativa tecnica del taping elastico si basa sulle naturali capacità di guarigione del corpo, stimolate dall’attivazione del sistema “neuro-muscolare” e “neuro-sensoriale”, secondo i nuovi concetti di Neuroscienza. Il metodo scaturisce dalla scienza della chinesiologia. Si tratta di una tecnica correttiva meccanica e/o sensoriale, che favorisce una migliore circolazione sanguigna e linfatica nell’area da trattare. Nella fase riabilitativa il neurotaping si applica per migliorare la circolazione sanguigna e linfatica; ridurre l’eccesso di calore e di sostanze chimiche presenti nei tessuti; ridurre l’infiammazione con azione sinergica alle terapie convenzionali.
Inoltre il taping kinesiologico® mira ad azionare i sistemi analgesico endogeni; stimolare il sistema inibitore spinale e il sistema inibitore discendente; a correggere i problemi delle articolazioni, ridurre gli allineamenti imprecisi causati da spasmi e muscoli accorciati; normalizzare il tono del muscolo e l’anormalità di fascia delle articolazioni; migliorare la ROM. E’ utilizzato come completamento: in osteopatia, in chiropratica, nelle terapie manuali e nelle terapie fisiche.
Taping kinesiologico method – La tecnica di applicazione del nastro elastico, che affrontando in modo globale gli “squilibri” dell’organismo, cerca di ristabilire il corretto equilibrio funzionale, in una visione globale e tridimensionale del corpo – balance -.
Tra i diversi tendini dell’apparato muscolo-scheletrico, il tendine d’Achille è di gran lunga la struttura più interessata da patologie infiammatorie e degenerative. Fredericson (1) cita un’incidenza della tendinopatia achillea che varia tra il 6,5 e l’11 % delle lesioni tra i corridori. Anche Novacheck (2), citando uno studio effettuato su 180 marciatori da James and Jones (1990), riferisce una presenza percentuale della tendinite achillea pari all’11% delle lesioni. McCrory et al. (3) affermano che le lesioni a carico del tendine d’Achille rappresentano il 5-18% dei disturbi totali legati alla corsa, divenendo così la sindrome più frequente da overuse dell’arto inferiore. Relativamente alla rottura del tendine d’Achille Lanzetta (4,5) riferisce che si verifica, di solito, nei soggetti maschi tra i 25 e i 50 anni, che praticano attività ludico-sportiva. Inoltre nel 90% dei casi la rottura tendinea è la conseguenza di una brusca contrazione muscolare associata ad un allungamento del complesso muscolo-tendineo.
I tendini rappresentano la componente più forte dell’unità muscolo-tendinea ed il loro scopo principale è quello di trasmettere le forze generate dal muscolo alle leve ossee.
Relativamente al tendine d’Achille va ricordato che esso è il più largo e forte tendine del corpo umano. Si calcola che sia in grado di sopportare carichi che possono arrivare a 300 kg; in altri termini, questo significa che il tendine d’Achille durante la corsa viene caricato di un valore pari almeno 6 – 8 volte il peso corporeo. Non va dimenticato inoltre che il tricipite ha un vettore di forza che, oltre a provocare la flessione plantare, induce anche una supinazione del piede a causa della sua inserzione centro-mediale sul calcagno e alla rotazione delle sue fibre.
Il tricipite surale è considerato il maggior supinatore e stabilizzatore del retropiede, inoltre durante il cammino si attiva soprattutto nella parte centrale della fase di appoggio per controllare l’avanzamento della tibia sul tarso (8). Il complesso gastrocnemio-soleo rappresenta i quattro quinti del volume della gamba e questa sua consistenza si traduce, in termini funzionali, in una capacità di ammortizzare gli shock sia a livello tendineo che muscolare. L’unità muscolo-tendinea attraversa tre articolazioni (ginocchio, caviglia, sottoastragalica) predisponendosi così ad un’alta incidenza di lesioni.
Da un punto di vista posturale l’asse del tendine d’Achille crea con la verticale un angolo che va da 1° a 5° di inversione (9). L’osservazione clinica di questo angolo spesso viene effettuata per avere un’indicazione della posizione della tibio-tarsica e della sottoastragalica.
Il taping kinesiologico viene usato in ambito sportivo sempre più diffusamente prima, durante e dopo il gesto atletico, per preparare, prevenire e per defaticare l’atleta.
Il taping kinesiologico deve essere visto come una terapia aggiuntiva, che aiuta nel processo riabilitativo e non come una terapia elettiva, prescindendo che la diagnosi deve essere corretta.
La fase di osservazione iniziale del paziente è importantissima per l buona riuscita del bendaggio con la metodica del taping kinesiologico, sempre nel rispetto del principio della globalità.
Questo metodo è basato sull’applicazione di un nastro elastico che stimola il processo di guarigione naturale, assistendo il corpo nell’attivazione dei processi fisiologici dei tessuti traumatizzati, lo riporta nello stato di salute.
Tutti gli organismi hanno una capacità innata (determinata geneticamente) di auto-regolazione che permette il raggiungimento di un equilibrio omeostatico e di una possibilità di auto-guarigione.
In risposta ad una aggressione esterna, il corpo inizia un processo di “riparazione-rimodellamento” attraverso la risposta infiammatoria.
Il tendine del tricipite surale capace di sopportare forze di trazione di 300 kg, come già esposto, è il tendine più potente dell’organismo, ma è mal vascolarizzato nella parte intermedia e ciò lo rende vulnerabile.
La rottura del tendine d’Achille è caratteristica generalmente dei soggetti, sportivi e non, che negli anni hanno avuto molti episodi di tendipotapatia per ipersollecitazione funzionale.
Nello sportivo si manifesta a fine carriera a causa di alcuni fattori scatenanti:
aumento di peso, scarsa idratazione (come dimostrato da uno studio giapponese), come causa iatrogena di cure antibiotiche, calzature non adeguate e quindi squilibrio nel carico podalico, intensificazione degli allenamenti dopo un periodo di riposo forzato, irrigidimento del tendine dopo trattamento infiltrativo cortisonico, ecc.
Il tendine d’Achille, o anche detto tendine calcaneare, prende origine dalla fusione dell’aponeurosi dei muscoli gastrocnemio e soleo. E’ una struttura anatomica nastriforme, costituita da fibrille collagene, interposta tra il tricipite surale ed il calcagno ed è deputato alla trasmissione degli impulsi meccanici derivanti dalla contrazione muscolare del polpaccio al segmento scheletrico, realizzando un movimento articolare di fondamentale importanza : la spinta del piede. Oltre a questo compito fondamentale, esercita una funzione tampone nei confronti della contrazione muscolare volontaria e/o involontaria massimale.
Eziopatogenesi della lesione
Le lesioni tendinee possono essere classificate, a seconda della loro eziologia, in traumatiche, microtraumatiche e su base dismetabolica e/o infiammatoria.
Le tendinopatie micro-traumatiche del tendine d’Achille sono anche definite lesioni da sovraccarico funzionale, in grado di determinare la patologia con un meccanismo diretto e uno indiretto. Questo tipo di lesioni può portare alla
rottura del tendine d’Achille, che rappresenta comunque, l’episodio acuto conseguente ad un processo degenerativo (tendinosi) il quale talvolta in modo quasi del tutto asintomatico, o preceduto e accompagnato da episodi di infiammazione dolorosa della guaina e coinvolgendo in maniera più o meno estesa la compagine tendinea, ne determina una diminuzione della resistenza meccanica, che può essere superata da un’improvvisa sollecitazione anche non eccessiva.
I fattori che possono provocare patologie da sovraccarico nei tendini (e in molti casi anche nei muscoli), del collo piede e del piede si possono genericamente dividere in intrinseci ed estrinseci ed agiscono in percentuale variabile da soggetto a soggetto.
Per quanto riguarda i fattori intrinseci sono essenzialmente:
a) la variabilità anatomica, con conseguente alterazione più o meno marcata della normale biomeccanica del cammino o del gesto atletico, il che sottopone il collo piede e piede ad uno stress anormale;
b) le malattie dismetaboliche, che possono favorire reazioni flogistiche locali, nonché provocare l’alterazione della composizione del normale tessuto tendineo fino a determinare un più precoce invecchiamento;
c) ultimo fattore, ma non meno importante, l’età dell’individuo e gli anni di attività agonistica.
Infatti, l’invecchiamento del tessuto tendineo provoca un rallentamento metabolico del collagene tissutale con una diminuzione graduale del rapporto cellule-matrice a favore di quest’ultima, una diminuzione del contenuto idrico delle fibre elastiche, dei proteoglicani e glicoproteine. Scompare inoltre la linea blu, presente a livello giunzionale osteo-tendineo, che svolge un’importante azione modulatrice ed ammortizzante nei confronti delle sollecitazioni meccaniche.
Per quanto riguarda l’alterazione della biomeccanica, uno dei problemi principali è l’iperpronazione del collo piede e del piede durante la corsa, che ha un’azione di frustata, come la corda di un arco, sul tendine d’Achille, con conseguente alta frequenza di tendiniti.
Per quanto riguarda i fattori estrinseci, essi diventano spesso determinanti nell’instaurazione della tendinopatia da sovraccarico al collo piede e piede.
Si distinguono principalmente tre fattori:
1) l’allenamento incongruo
2) i terreni di gara o di allenamento
3) la calzatura
Da studi recenti, effettuati su osservazioni di Cummins, Christensen ha elaborato la teoria delle variazioni anatomiche individuali, secondo cui le fibre dell’achilleo provenienti rispettivamente dal gastrocnemio e dal soleo, man mano che discendono verso il calcagno subiscono un certo grado di rotazione reciproca, di entità variabile nei diversi soggetti. Secondo Christensen, durante determinati movimenti, quali si verificano tipicamente nella corsa e nel salto, si può verificare una sorta di sfregamento a sega tra i due gruppi di fibre, in relazione alle variazioni individuali del grado di torsione reciproca di queste ultime, e alla mancanza di una perfetta coordinazione muscolare, come si verifica più facilmente in condizioni di scarso allenamento. In realtà, la possibilità di un danneggiamento reciproco delle fibre tendinee non è stata mai dimostrata, restando soltanto un’ipotesi suggestiva tesa a valorizzare il peso dei fattori individuali nella genesi della rottura.
Il ruolo etiologico svolto dalla cosiddetta “tendinite” sembra essere meno diretto di quanto si sia ritenuto in passato e di quanto lascerebbe supporre la frequenza relativamente elevata, circa il 30%, con cui questa affezione compare nell’anamnesi dei soggetti che vanno incontro ad una rottura dell’achilleo.
Diverse sono le classificazioni proposte per definire i disordini del tendine d’Achille. In particolare, nelle lesioni da ipersollecitazione funzionale (overuse) si distinguono tre stadi:
a) la peritendinite (o infiammazione del paratenone)
b) la tendinosi, che comporta cambiamenti degenerativi dentro il tendine e può coesistere o no con la peritendinite e infine, se il processo fisiopatologico continua
c) la rottura parziale o totale del tendine.
Subotnick (11) distingue le seguenti condizioni patologiche a carico del tendine d’Achille: stiramenti della giunzione teno-muscolare mediale e laterale, paratenonite achillea, tendinosi achillea (rottura o degenerazione centrale del tendine) e tendinite teno-periostea con o senza calcinosi. Altri autori sostengono l’esistenza di un quadro di infiammazione post-traumatica all’interno del tessuto tendineo (tendinite). Cyriax (12,13) distingue quattro sedi principali di lesione: l’inserzione teno-periostea, le parti laterali del corpo tendineo e la parte anteriore del tendine. Rispetto alle diverse realtà patologiche prospettate B.A.M. Van Wingerden (14) sostiene che non è sempre facile riconoscerle attraverso l’esame clinico e che l’unico sistema per essere certi delle caratteristiche del danno è l’ispezione chirurgica o in alcuni casi la RMN.
Il processo degenerativo può essere asintomatico e se si sviluppa in assenza di paratenonite, può sfociare in una rottura parziale o totale senza alcun segno prodromico.
Alcuni autori sostengono che tra i 2-6 cm. sopra l’inserzione tenoperiostea vi sia una zona di ipovascolarizzazione tendinea, che predisporrebbe il tendine alla rottura. A tal riguardo, però, Fredericson (1) cita uno studio di Amstron e Westlin (1994), dal quale è emerso che nei tendini sintomatici c’è un aumento del flusso sanguigno (sia a riposo che durante una sollecitazione fisica), rispetto ai gruppi di controllo sani e ai tendini controlaterali asintomatici.
I pazienti affetti da tendinopatia achillea riferiscono di solito un sintomatologia algica tra i 2-6 cm. sopra l’inserzione calcaneare; i sintomi si possono presentare come rigidità mattutina o all’inizio della corsa, dolore durante il cammino o addirittura dolore severo che impedisce la corsa. Un’anamnesi di dolore improvviso, forte e disabilitante nella regione tendinea depone a favore di una rottura.
Per quel che concerne la rigidità del tendine d’Achille Kibler et al. (15) affermano che essa è un fattore predisponente alla fascite plantare. Questi autori ricordano che un tendine d’Achille rigido limita la dorsi-flessione della caviglia; se durante la fase che precede lo stacco delle dita, il tendine non si lascia stirare, si verifica una pronazione anomala, in grado di provocare una sollecitazione eccessiva della fascia plantare.
In ambito eziologico, si pensa che i carichi ripetuti, eccedenti le capacità intrinseche di riparazione del tendine, generino le infiammazioni a carico della struttura, mentre i carichi improvvisi causerebbero la rottura del tendine. Soma et al. (16) attribuiscono le cause dei disturbi tendinei a fattori intrinseci ed estrinseci. I fattori intrinseci includono un improvviso aumento della durata, intensità o frequenza della corsa, in grado di determinare un’infiammazione da overuse. I fattori estrinseci riguardano le scarpe sportive, ad esempio quelle con uno scarso cuscinetto sotto-calcaneare, o con dei contrafforti retrocalcaneari che non stabilizzano adeguatamente il retropiede. Secondo Neely F.G., (17) ci sono delle evidenze che indicano che un piede eccessivamente pronato o supinato, una limitazione della dorsi flessione di caviglia, una limitazione del range di eversione dell’anca, un’eccessiva lassità legamentosa, una dismetria tra gli a.a.i.i. e un aumento dell’angolo Q sono un significativo fattore di rischio per le lesioni dell’arto inferiore correlate all’attività fisica (e quindi anche per la tendinite achillea).
Reid (18) considera gli errori d’allenamento, l’allineamento anatomico viziato (calcagno varo compensato da un’iperpronazione dell’avampiede), la rigidità del tricipite e le scarpe inadeguate i principali fattori predisponenti la tendinopatia achillea.
Anche secondo Subotnick (11) quando ci sono dei sovraccarichi ripetuti in pronazione si lede la parte mediale del tendine, mentre in caso di supinazione eccessiva del piede, il danno si riscontra più probabilmente in sede laterale.
Alcuni autori affermano che per prevenire la tendinite achillea è importante analizzare il controllo del retropiede. Infatti un aumento dell’angolo di “touch down” si traduce in una iperpronazione compensativa che va a scompaginare la normale fase di pronazione: gli autori credono che tutto ciò provochi una esagerata torsione a carico del tendine achilleo.
Protocollo riabilitativo
Da un punto di vista clinico le modalità di trattamento della tendinopatia achillea dipendono dallo stadio evolutivo della patologia. Possiamo distinguere tre stadi evolutivi (7):
- Fase infiammatoria (0-6 giorni)
- Fase proliferativa (o di riparazione) (5-21 giorni)
- Fase di rimodellamento (o di maturazione) (da 20 giorni in poi)
a) Nella fase infiammatoria gli obiettivi terapeutici da perseguire sono:
1) limitare l’infiammazione e quindi l’edema
2) diminuire il dolore
3) evitare ulteriori danni al tessuto tendineo
4) correggere le anomalie biomeccaniche che sovraccaricano il tendine
5) mantenere la capacità cardio-respiratoria (nello sportivo).
Per evitare un eccessivo prolungarsi del processo infiammatorio, il mezzo principale è il ghiaccio, utilizzando un panno di protezione per evitare un contatto diretto con la cute (applicazioni ripetute durante il giorno per 15-20 minuti). Per diminuire il dolore e per evitare ulteriori sovraccarichi al tendine è importante che il paziente diminuisca la sua attività fisica tenga il tendine a riposo. Da un punto di vista medico, in questa fase, vengono solitamente somministrati degli antinfiammatori per ridurre il dolore e l’infiammazione. Diversi autori (19, 24, 1, 34) consigliano un’ortesi correttiva in presenza di difetti biomeccanici (eccessiva pronazione o supinazione) e un rialzo sotto il calcagno (1-2 cm) per diminuire la tensione di elongazione sul tendine.
Alcuni autori (12, 13, 34, 35) propongano l’utilizzo del massaggio trasverso profondo fin dalle prime fasi post-traumatiche, Van Wingerden (14) ritiene che tale terapia è controindicata in questa fase. Attualmente infatti non ci sono ancora evidenze in letteratura sull’utilità del MTP e, considerando le caratteristiche del processo infiammatorio, si può facilmente supporre che sollecitare ulteriormente un tessuto appena traumatizzato significherebbe interferire col processo di guarigione.
b) Nella fase proliferativa (o di riparazione) gli obiettivi terapeutici da raggiungere sono:
1) prevenire la formazione di aderenze
2) prevenire l’atrofia a carico dei muscoli e le limitazioni articolari
3) diminuire l’infiammazione, l’edema e il dolore residuo
In questa fase, si devono introdurre gradualmente sollecitazioni di carico al tendine. In questo modo si favorisce la formazione di collagene, si incrementa la dimensione delle fibrille migliorando inoltre il loro allineamento (36, 37); quindi, in ultima analisi, l’esercizio terapeutico introdotto gradualmente incrementa la forza di tensione del tendine. In questa fase la mobilizzazione attiva, lo stretching e l’MTP, prevengono la formazione di aderenze e consentono un allineamento funzionale del neo tessuto riparativo. Anche il dolore e l’edema vengono influenzati favorevolmente dall’esercizio, a patto che le sollecitazioni meccaniche non vadano a ritraumatizzare la zona lesa.
c) Nella fase di rimodellamento (o di maturazione) gli obiettivi terapeutici sono:
1) Ottimizzare la guarigione del tendine (forza di tensione, elasticità, scivolamento fra i piani tissutali).
Questo scopo è raggiunto incrementando gradualmente i carichi meccanici sul tendine (stretching, lavoro isometrico, concentrico ed eccentrico).
Poiché gli esercizi eccentrici sottopongono al massimo carico le strutture tendinee e hanno dimostrato un’efficacia clinica (19, 7, 25, 26, 24, 46), è importante introdurli nel trattamento delle tendinite appena possibile.
2) Ridurre eventuali fattori predisponenti.
I difetti biomeccanici del piede devono essere corretti con un’adeguata ortesi; a questi inoltre, può essere associata anche un’insufficienza muscolare del tricipite (19, 40) che viene risolta con un lavoro di rinforzo muscolare a carichi crescenti. E’ bene sempre controllare che l’escursione articolare della tibio-tarsica e della sottoastragalica siano complete.
3) Educare il paziente ad evitare sovraccarichi, in particolare se si tratta di uno sportivo.
E’ fondamentale prima di affrontare la ripresa dell’attività sportiva, istruire il paziente sul tipo di terreno idoneo (evitare la corsa in collina, sul terreno irregolare o duro) e sulla scelta della calzatura appropriata. Infine il paziente deve essere educato a svolgere un adeguato riscaldamento prima degli allenamenti.
Tecnica applicativa del taping kinesiologico:
la Correzione dei tendini e dei legamenti.
In tutta la fase di rieducazione si ricorre all’applicazione del taping kinesiologico® per stimolare la zona del tendine in modo riparativo e di sostegno utilizzando applicazioni con tensioni del 50 – 75 % dell’elasticità del nastro. La pressione creata dal tape sulla zona tendinea stimola i meccanocettori in modo simile a quello fisiologico supportando in maniera sinergica il processo riparativo fisiologico .
Le applicazioni si faranno in posizione funzionale.
Le tecniche per il tendine utilizzate sono due:
- si applica il nastro tagliato ad I con tensione iniziale a 0 dopo tenendo la base si applica una tensione 50 -75 % e poi la parte finale del nastro a 0% di tensione;
- applicare il nastro dal centro del tendine con tensione correttiva mentre si esegue il movimento ( flessione plantare del piede).
Le applicazioni sui tendini seguono una regola precisa: quando si passa sui ventri muscolari la tensione del nastro da 75% passa a 25 -50% (Tendine d’Achille). Questa modulazione della tensione del nastro permette una sollecitazione adeguata del muscolo, ma senza influire a livelli della circolazione emo-linfatica.
Prevenzione
a) variare i percorsi e le superfici d’allenamento
b) non sottovalutare anche un lieve sintomo al tendine d’Achille
c) scegliere con la massima cura e precisione le calzature, e quando si cambia marca: usare la nuova scarpa gradualmente nel tempo e non subito per tutto l’allenamento
d) fare almeno una volta all’anno una barostabilometria per valutare la simmetria di carico podalico
e) dopo un periodo di riposo o dopo rientro per infortunio, aumentare in modo graduale il carico allenante
f) dopo un infortunio agli arti inferiori avere molta cura alla tecnica di corsa per evitare asimmetrie di carico
g) se siete reduci da cure antibiotiche tenere presente che queste sostanze possono favorire le tendiniti (studio giapponese ed americano)
h) curare in modo scrupoloso l’idratazione generale
specie durante il periodo agonistico, lo scorrimento del tendine dentro la guaina è fisiologico se l’idratazione è adeguata
i) il taping kinesiologico® è un valido aiuto sia in fase agonistica che riabilitativa
j) eseguire in modo regolare dopo ogni seduta d’allenamento lo stretching specifico
k) sottoporsi a sedute di massaggio defaticante periodiche nel periodo agonistico o di carico
l) fare dei pediluvi con preparati decongestionanti adatti
m) ai primi sintomi: impacchi di argilla verde ventilata o flogogestina grigia e rialzo calcaneare.
Conclusioni
La lesione del tendine d’Achille, che in passato era un evento molto raro, negli ultimi decenni è divenuta di osservazione sempre più frequente. La causa di questo aumento di casi sembra essere dovuta alla diffusione dello sport ad un più largo strato di popolazione.
Questa lesione viene riscontrata più frequentemente in soggetti di sesso maschile con età compresa tra i 30 e i 60 anni.
La lesione dell’achilleo si può classificare, a seconda della sua eziologia, in traumatica, microtraumatica e dismetabolica e/o infiammatoria.
Le modalità dell’evento lesivo generalmente constano in una brusca contrazione muscolare associata ad un allungamento dell’unità muscolo-tendinea.
Le possibili cause che portano all’insorgenza della patologia da sovraccarico sono riconducibili a determinati fattori intrinseci, come la variabilità anatomica, malattie dismetaboliche, età dell’individuo, anni di attività agonistica, e a fattori estrinseci, come l’allenamento incongruo, i terreni da gara e le calzature.
Lo stimolo meccanico, per quanto ripetitivo ed intenso, non è da solo sufficiente a spiegare l’insorgenza della patologia da sovraccarico.
La letteratura internazionale suggerisce l’utilizzo di un approccio chinesiterapico nella tendinopatia achillea. Se la terapia fisica strumentale può trovare alcune indicazioni nella fase infiammatoria per il controllo del dolore e dell’infiammazione, nelle fasi successive va privilegiato un intervento chinesiterapico (stretching ed esercizi) e manuale (MTP) per promuovere la formazione di un tessuto cicatriziale funzionale e per favorire un rimodellamento del tessuto tendineo adeguato agli enormi carichi meccanici che questo deve sopportare. L’utilizzo del taping kinesiologico® per stabilizzare il tendine d’Achille durante le varie fasi del progetto rieducativo è un valido aiuto, che oltre a salvaguardare dall’eccessivo carico funzionale può modulare il tono muscolare del tricipite surale avendo un’ottima azione sinergica nel recupero fisiologico.
La visione innovativa del bendaggio elastico proposto, ha il chiaro significato “evolutivo” di questo “metodo koreano” nell’ambito del taping kinesiologico®, che rimane l’indicazione specifica per i traumi diretti durante la fase acuta e post-operatoria, come è stato ampiamente presentato nel libro:
R. Bellia – F. Selva – “ Il taping kinesiologico nella traumatologia sportiva – manuale pratico di applicazione “ ed. Alea Milano – 2011 .
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