Nella rivista di fisioterapia “RiabilitazioneOggi” del mese di febbraio 2010 è stato pubblicato un interessante articolo sul protocollo riabilitativo dopo rottura del tendine d’Achille.
IL 20 marzo 2010 l’articolo viene pubblicato nel sito Fisiobrain, siscitando molto interesse fra i professionisti.
Per scarica l’articolo completo dal sito My personaltrainer:
http://www.my-personaltrainer.it/traumatologia-ortopedia/rottura-tendine-achille-taping.html
Trattamento riabilitativo dopo rottura del tendine d’Achille.
Programma completo:
taping kinesiologico, massaggio trasverso profondo, cupping therapy, InterX, crochetage, stretching posturale globale.
A cura: prof. Rosario Bellia –
Docente di taping kinesiologico® presso Università Statale di Valencia (Spagna)
Fisioterapista della nazionale italiana della F.I.H.P.
Questo lavoro è già stato pubblicato dalla rivista “RiabilitazioneOggi” nel numero di marzo 2010.
Presentazione del caso
Rottura spontanea del tendine d’Achille in calciatore amatore di 45 anni verificatasi durante una partita.
Intervento di tenoraffia termino-terminale e dimesso con gambaletto gessato per circa 50 gg. Dopo 2 mesi la ferita si è riaperta per infezione iatrogena; il paziente viene quindi sottoposto ad un periodo di antibiotici e 24 terapie in camera iperbarica per 1 ore e mezza a seduta.
Finalmente la cicatrice è stabilizzata, ma presenta un cheloide molto retraente ed accollato ai piani profondi.
a) Generalità sulla rottura del tendine d’Achille
Profilo clinico
Il tendine del tricipite surale capace di sopportare forze di trazione di 300 kg. E’ il tendine più potente dell’organismo, ma è mal vascolarizzato nella parte intermedia.
La rottura del tendine d’Achille è caratteristica generalmente dei soggetti, sportivi e non, che negli anni hanno avuto molti episodi di tendipotapatia per ipersollecitazione funzionale.
Nello sportivo si manifesta a fine carriera a causa di alcuni fattori scatenanti:
aumento di peso, scarsa idratazione (come dimostrato da uno studio giapponese), come causa iatrogena di cure antibiotiche, calzature non adeguate e quindi squilibrio nel carico podalico, intensificazione degli allenamenti dopo un periodo di riposo forzato, irrigidimento del tendine dopo trattamento infiltrativo cortisonico, ecc.
I sintomi e segni clinici variano a seconda dell’azione che si stava compiendo:
nel caso in esame il paziente ha sentito “ una sassata” al tendine mentre calciava il pallone e dopo un’impotenza funzionale con la risalita del muscolo tricipite surale verso il cavo popliteo; nel primo momento credeva di aver subìto un calcio da dietro.
Il tendine d’Achille, o anche detto tendine calcaneare, prende origine dalla fusione dell’aponeurosi dei muscoli gastrocnemio e soleo. E’ una struttura anatomica nastriforme, costituita da fibrille collagene, interposta tra il tricipite surale ed il calcagno ed è deputato alla trasmissione degli impulsi meccanici derivanti dalla contrazione muscolare del polpaccio al segmento scheletrico, realizzando un movimento articolare di fondamentale importanza : la spinta del piede. Oltre a questo compito fondamentale, esercita una funzione tampone nei confronti della contrazione muscolare volontaria e/o involontaria massimale.
La rottura del tendine d’Achille è la più comune di tutte le rotture tendinee sottocutanee. Infatti, se è vero che in alcune casistiche meno recenti le rotture dell’achilleo non figurano al primo posto in ordine di frequenza, è da considerare che negli ultimi decenni questa lesione è divenuta di osservazione sempre più frequente, soprattutto nei soggetti dediti allo sport.
La rottura di questo tendine non interessa solamente l’ambito sportivo, ma viene evidenziata anche in soggetti anziani, che non svolgono attività sportive, ma che presentano alterazioni dismetaboliche ed infiammatorie in questo distretto.
La rottura del tendine d’Achille colpisce maggiormente soggetti di sesso maschile, in un’età compresa tra i 25 e i 50 anni; i valori più bassi si riscontrano negli sportivi mentre dopo i 60 anni la lesione è piuttosto rara.
Questa lesione viene riscontrata in percentuali maggiori al lato sinistro (57%) rispetto al lato destro (43%); tali dati sono in accordo con quanto rilevato da uno studio effettuato da Riede su una popolazione di circa 500 studenti, nel 58% dei quali l’arto sinistro era quello dominante nella spinta del piede contro il suolo. Le lesioni bilaterali contemporanee sono estremamente rare.
Eziopatogenesi della lesione
Le lesioni tendinee possono essere classificate, a seconda della loro eziologia, in traumatiche, microtraumatiche e su base dismetabolica e/o infiammatoria.
Le tendinopatie micro-traumatiche del tendine d’Achille sono anche definite lesioni da sovraccarico funzionale, in grado di determinare la patologia con un meccanismo diretto e uno indiretto. Questo tipo di lesioni può portare alla
rottura del tendine d’Achille, che rappresenta comunque, l’episodio acuto conseguente ad un processo degenerativo (tendinosi) il quale talvolta in modo quasi del tutto asintomatico, o preceduto e accompagnato da episodi di infiammazione dolorosa della guaina e coinvolgendo in maniera più o meno estesa la compagine tendinea, ne determina una diminuzione della resistenza meccanica, che può essere superata da un’improvvisa sollecitazione anche non eccessiva.
I fattori che possono provocare patologie da sovraccarico nei tendini (e in molti casi anche nei muscoli), del collo piede e del piede si possono genericamente dividere in intrinseci ed estrinseci ed agiscono in percentuale variabile da soggetto a soggetto.
Per quanto riguarda i fattori intrinseci sono essenzialmente:
a) la variabilità anatomica, con conseguente alterazione più o meno marcata della normale biomeccanica del cammino o del gesto atletico, il che sottopone il collo piede e piede ad uno stress anormale;
b) le malattie dismetaboliche, che possono favorire reazioni flogistiche locali, nonché provocare l’alterazione della composizione del normale tessuto tendineo fino a determinare un più precoce invecchiamento;
c) ultimo fattore, ma non meno importante, l’età dell’individuo e gli anni di attività agonistica.
Infatti, l’invecchiamento del tessuto tendineo provoca un rallentamento metabolico del collagene tissutale con una diminuzione graduale del rapporto cellule-matrice a favore di quest’ultima, una diminuzione del contenuto idrico delle fibre elastiche, dei proteoglicani e glicoproteine. Scompare inoltre la linea blu, presente a livello giunzionale osteo-tendineo, che svolge un’importante azione modulatrice ed ammortizzante nei confronti delle sollecitazioni meccaniche.
Per quanto riguarda l’alterazione della biomeccanica, uno dei problemi principali è l’iperpronazione del collo piede e del piede durante la corsa, che ha un’azione di frustata, come la corda di un arco, sul tendine d’Achille, con conseguente alta frequenza di tendiniti.
Per quanto riguarda i fattori estrinseci, essi diventano spesso determinanti nell’instaurazione della tendinopatia da sovraccarico al collo piede e piede.
Si distinguono principalmente tre fattori:
1) l’allenamento incongruo
2) i terreni di gara o di allenamento
3) la calzatura
Da studi recenti, effettuati su osservazioni di Cummins, Christensen ha elaborato la teoria delle variazioni anatomiche individuali, secondo cui le fibre dell’achilleo provenienti rispettivamente dal gastrocnemio e dal soleo, man mano che discendono verso il calcagno subiscono un certo grado di rotazione reciproca, di entità variabile nei diversi soggetti. Secondo Christensen, durante determinati movimenti, quali si verificano tipicamente nella corsa e nel salto, si può verificare una sorta di sfregamento a sega tra i due gruppi di fibre, in relazione alle variazioni individuali del grado di torsione reciproca di queste ultime, e alla mancanza di una perfetta coordinazione muscolare, come si verifica più facilmente in condizioni di scarso allenamento. In realtà, la possibilità di un danneggiamento reciproco delle fibre tendinee non è stata mai dimostrata, restando soltanto un’ipotesi suggestiva tesa a valorizzare il peso dei fattori individuali nella genesi della rottura.
Il ruolo etiologico svolto dalla cosiddetta “tendinite” sembra essere meno diretto di quanto si sia ritenuto in passato e di quanto lascerebbe supporre la frequenza relativamente elevata, circa il 30%, con cui questa affezione compare nell’anamnesi dei soggetti che vanno incontro ad una rottura dell’achilleo.
Complicanze
b) Generalità sulle cicatrici e sulle patologie correlate
Le cicatrici, di per sé, non rientrano nella categoria delle patologie. Tuttavia, se dotate di determinate caratteristiche, esse possono diventare fonte di alterazioni posturali, di dolori, di disagi organici o respiratori, dunque fonte di patologie.
La loro “reattività” o “tossicità”(come si dice in gergo) può essere registrata da uno strumento elettronico che misura i potenziali di tossicità o con test chinesiologici di forza.
Sotto la voce generica di cicatrici vengono inclusi: interventi chirurgici, ferite, abrasioni profonde, ustioni, tatuaggi.
Tutto ciò che altera lo stato della pelle e la sua integrità, spesso il tessuto cicatriziale, crea aderenze sottocutanee, perdita di elasticità (cheloidi), oltre a trazione meccanica sul tessuto circostante (pelle, muscolo, organi interni,ecc.).
Da quanto sopra esposto si possono classificare le seguenti conseguenze:
a) Danno meccanico (elasticità)
b) Danno energetico (blocco energetico)
La cicatrice chirurgica del nostro paziente è di dimensione regolare; dopo 2 mesi la ferita si è riaperta per infezione iatrogena; pertanto il paziente viene sottoposto ad un periodo di antibiotici e 24 terapie in camera iperbarica per 1 ora e mezza a seduta.
Dopo la stabilizzazione della cicatrice e dell’infezione, la cicatrice risulta con elevata superficie ricoperta da cheloidi, che sono “accollati” ai piani profondi del sottocute, ed in una zona di circa 1,5 cm. ancorata alla guaina del tendine nella porzione prossimale.
La flessione dorsale del piede provoca un “infossamento” delle cicatrice nella porzione “accollata”; ciò sta ad indicare che il tessuto non ha la giusta elasticità in fase di flessione per “ancoraggio” profondo della cicatrice.
Gli obiettivi terapeutici nella prima fase riabilitativa (obiettivi a breve termine) sono stati:
a) controllo dell’infiammazione e dell’edema
b) prevenzione delle aderenze
c) prevenzione dell’atrofia muscolare
d) recupero dell’escursione articolare presente
Gli obiettivi nella fase di rimodellamento (obiettivi a medio e lungo termine) sono stati:
a) recupero completo dell’articolarità e della forza muscolare
b) recupero dell’elasticità tissutale
c) ottimizzazione del recupero tendineo
c) Screening test:
esame posturale completo
1)Visione frontale: dismetria “apparente” arti inferiori con sx più corto di circa 2 cm; ginocchio sx semiflesso di circa 10°, spostamento dell’asse di carico verso dx. Torsione del bacino sx avanti e bascullato. Nel complesso la colonna vertebrale è ben compensata.
2) Visione laterale: flessione di circa 10° del ginocchio sx e torsione del bacino, curve laterali della colonna vertebrale ben conservate.
3)Visione posteriore: bascullamento del bacino, basso a sx e spostamento del carico verso dx.
- mobilità articolare specifica del piede(ROM)
a) flessione dorsale passiva dell’articolazione tibio-tarsica 90°, attiva 80°
b) flessione plantare 50°
- Osservazione della cute e valutazione dei cheloidi
Il paziente presenta una cicatrice operatoria di lunghezza adeguata all’intervento, che risulta retraente nella porzione prossimale .
La cicatrice risulta importante per la limitazione della mobilità dell’articolazione tibio-tarsica, che è anche molto “accollata” e retraente. Per questo motivo, si sceglie di concentrare il lavoro di “scollamento” in modo particolare su questa porzione anatomica.
d) Descrizione del protocollo riabilitativo:
1) massaggio trasverso profondo (MTP o Cyriax)
Questo massaggio consente di:
a) mantenere la mobilità dei tessuti salvaguardando il movimento fisiologico, evitando la formazione di cross-links tra le varie fibrille. Le fibrille di collagene che si formano durante il periodo del trattamento si sviluppano in modo corretto e più aderente alle necessità funzionali dell’organismo;
b)produrre iperemia locale per diminuire il dolore e regolare il flusso di substrati e metaboliti;
c) orientare le fibre di collagene nel modo più idoneo per resistere agli stress di natura meccanica;
d) stimolare i meccano recettori per inibire i messaggi afferenti nocicettivi (teoria del Gate Control).
Applicazione pratica:
1) attraverso la mobilizzazione perpendicolare rispetto alla direzione delle fibre che formano la struttura interessata, si rompono o si inibisce la formazione delle aderenze cicatriziali (cross-links);
2) attraverso l’iperemia locale si aumenta la velocità di eliminazione delle sostanze infiammatorie;
3) la forte stimolazione dei meccano-cettori inibisce la trasmissione del dolore (Gate Control).
La logica che sta dietro a questa proposta terapeutica è che nelle lesioni tendinee, muscolari o legamentose parcellari in cui non c’è stata la completa soluzione di continuità dei tessuti, l’immobilità assoluta non ha effetti favorevoli sul decorso della malattia, ma anzi può contribuire a rallentare la guarigione e cronicizzare la lesione. E’ noto da molto tempo che i fibroblasti hanno una notevole capacità proliferativa in seguito a stimoli lesivi di vario tipo: nel giro di 48 ore, infatti, il loro numero aumenta esponenzialmente e non diminuisce prima di 21 giorni.
Osservando al microscopio lo sviluppo di tessuto cicatriziale, Stearns concluse che sono i fattori meccanici esterni che determinano la deposizione del tessuto cicatriziale in una ordinata rete di fibre, e non fattori intrinseci dei tessuti.
Movimenti passivi delicati non sono in grado di distaccare le fibrille che si formano nella direzione fisiologica, ma prevengono la loro adesione in sedi anormali. Il fatto che le fibrille si depositino in tutte le direzioni subito dopo l’insulto traumatico spiega perché si propone di iniziare il movimento il più precocemente possibile. Infatti, il rischio che si corre è di vedere insorgere una cicatrice densa e con molte aderenze, che dopo lesioni abbastanza estese potrebbero produrre periodi dolorosi molto lunghi.
Dal punto di vista pratico, la tecnica è la seguente: il dito del terapista viene posizionato nel punto esatto in cui risiede la lesione e friziona con adeguata pressione in senso perpendicolare alla direzione principale delle fibre del tessuto interessato dalla lesione. E’ di fondamentale importanza l’assoluta precisione nella scelta della zona da massaggiare. Oltre alla frizione trasversale, si può praticare una frizione circolare, prendendo il tendine con la parte palmare del pollice da un lato e dell’indice dall’altro e applicando la pressione in senso circolare. Eseguendo queste frizioni il ft può trovare un grumo o un punto particolare nel quale il tendine è sensibile.
Con questa tecnica si riesce ad evitare che, nel tessuto fibroso leso, possa generarsi una infiammazione che si auto-perpetua. Quindi, lo scopo della suddetta tecnica è aiutare la formazione di una cicatrizzazione funzionale. Individuato il punto da trattare, si esegue il massaggio, che va praticato con la punta di un dito, solitamente il dito indice rinforzato dal medio, effettuando un movimento di “va e vieni” che deve avvenire sempre in senso trasversale all’orientamento delle fibre della struttura anatomica lesa, senza provocare frizioni sulla cute. E’ necessario pinzare la cute nella zona dei cheloidi e cercare di mobilizzare il sottocute con movimenti contrapposti delle mani. Si sceglie di praticare questa tecnica per prima, in modo da preparare la zona da trattare con una buona viscosità tissutale e iperemia per il proseguo del trattamento.
2) neuroregolazione interattiva con InterX
Viene utilizzato un dispositivo elettromedicale (InterX) che emette degli impulsi elettrici bifasici sinusoidali smorzati i quali, grazie al feedback interattivo, si modificano autonomamente a seconda dell’impedenza cutanea. La Terapia InterX favorisce la Neuromodulazione Interattiva a livello del Sistema Nervoso Centrale (ipotalamo e corteccia visiva del cervello) al fine di ottenere:
a) importante azione antalgica
b) attivazione del Sistema di Autoregolazione
La terapia attiva il nostro sistema di autoregolazione alla produzione di:
neuropeptidi, peptidi regolatori, citochine etc. che generano riduzione di infiammazione, edema e dolore, con conseguente diminuzione dei tempi di recupero da un infortunio.
Le modalità applicative in questo caso specifico sono state:
programma acuto 180 di frequenza e 60 % di intensità per circa 10 minuti con la doppia piastra sulla zona con i cheloidi.
3) cupping therapy
meccanismo d’azione
La tecnica consiste nel creare un vacuo all’interno di un serbatoio (vetro, bambù, bachelite o plastica) appoggiato sulla pelle, che attira il tessuto superficiale, favorendo lo smaltimento delle tossine e dei liquidi in esubero. E’ stato dimostrato che il corpo viene interessato fino a quattro pollici di spessore dei tessuti, generando i seguenti effetti:
a) iperematizzazione locale anche per più giorni
b) effetti riflessi su organi distanti
c) mobilizzazione del tessuto connettivo subdermico
d) liberazione dei vasi linfatici “schiacciati”
e) mobilizzazione delle tossine e dei liquidi eccedenti
f) aumento del metabolismo e miglioramento del rifornimento di ossigeno
g) stimolazione del sistema immunitario e dei processi di riassorbimento nella pelle necessari per l’eliminazione delle tossine dai tessuti connettivali
La coppettazione è in grado, attraverso diversi meccanismi, di esplicare differenti azioni. Essa può:
- influenzare direttamente in sede un connettivo alterato: cicatrici, disturbi dell’irrorazione locale, ecc.
- mettere in movimenti meccanismi generali di regolazione dinamica del circolo sanguigno. Il connettivo sottocutaneo e’ molto ricco di sottili vasi sanguigni che, per costrizione o per dilatazione, possono considerevolmente variare il proprio contenuto in sangue. Ogni applicazione con la tecnica della coppettazione provoca un evidente e duraturo arrossamento cutaneo, quale espressione di una dilatazione dei vasi sanguigni cutanei e, con ciò, una contemporanea sensazione locale di calore.
- Per mezzo di modificazioni dell’irrorazione sanguigna, la mobilizzazione meccanica e il massaggio con le coppette del tessuto connettivo sottocutaneo possono influenzare la reazione chimica tissutale (pH) e, quindi, la capacita locale o generale del tessuto connettivo a trattenere acqua.
Attraverso diverse vie, la coppettazione può stimolare impulsi nervosi e, per mezzo di riflessi il cui arco si chiude nel sistema nervoso centrale, può provocare reazione anche in organi molto lontani.
In queste azioni nervose dobbiamo distinguere una componente generale (vale a dire interessamento di tutto il corpo) e processi riflessi, localmente più delimitati.
E’ stata utilizzata una modalità di coppette in movimento per ridurre al minimo il rischio di procurare ecchimosi, una delle controindicazioni più frequenti di questa tecnica. La sensazione, sia visiva che quella riferita dal paziente, è stata indubbiamente ottima.
4) Crochetage
Il tessuto connettivo fibroso rappresenta il 60% della massa corporea.
Con tante diversificazioni, le cellule specializzate costituiscono un’unica Fascia, formando un labirinto che pervade tutto l’organismo creando delle intime connessioni fra i vari distretti corporei.
Questa rete fasciale deve rimanere sempre libera nei movimenti.
Una tensione in un punto di blocco influisce su tutta la fascia.
L’azione di una contrattura muscolare dà aderenza tissutale della componente fibrosa. La liberazione per effetto meccanico semplice è preferibile.
Il crochetage morbido permette di togliere senza dolore il blocco biomeccanico per ritrovare lo schema primario, grazie alla forma e alla consistenza degli attrezzi utilizzati.
La trazione del gancio morbida provocherà la liberazione delle aderenze nelle zone della fibromiosite. Nel caso di cicatrici, si utilizza questa metodica per scollare la parte rigida dei cheloidi, con risultati straordinari di scollamento delle aderenze cicatriziali.
Si può utilizzare anche “sfregando”, con leggera pressione, la porzione convessa dell’attrezzo in modo longitudinale rispetto alle fibre muscolari, con azione di “sbrigliamento” muscolare classico (pialla).
Interessante la possibilità prospettata di allontanamento di eventuale “nodosità” tissutale dalla zona dove sono presenti terminazioni nervose, che generano il dolore, con risultato immediato di miglioramento del sintomo.
I princìpi su cui si basa la tecnica sono :
– risoluzione dei punti trigger
– recupero della elasticità e capacità contrattile del muscolo
– ripristino delle attività fasciale
– riduzione della gelificazione delle proteine interstiziali
– miglioramento della microcircolazione
– attivazione delle fagocitosi
– risoluzione della irritazione neuropatica
Il trattamento si applica avvalendosi di uno speciale arsenale terapeutico ideato ed ottimizzato per la metodica.
E’ stata utilizzata, nel caso specifico, una tecnica non ”invasiva”con manualità morbida e con azione di scollamento graduale. I risultati sono stati buoni e senza procurare ecchimosi.
5) stretching: CHRS ( contract-hold-relax-stretch)
Esecuzione: questa tecnica è detta anche “allungamento post-isometrico”, “allungamento propriocettivo-neuromuscolare”, “ tecnica di affaticamento e rilassamento “.
Si richiede di mantenere isometricamente la contrazione (secondo i diversi Autori la durata deve essere dai 3 ai 15 secondi; si utilizza uno sforzo che va dal 30%-50% al 100% della forza massima), quindi si allunga il muscolo stesso. Ciò può essere ripetuto da tre a cinque volte.
Meccanismo d’azione: questa tecnica di allungamento si basa sul fatto che alla contrazione statica segue una fase di rilassamento del muscolo stesso (attività riflessa di Hofmann ). Indicazioni: secondo Einsingbach, questo metodo è la modalità più efficace per allungare le strutture muscolari che limitano il movimento, quindi per migliorare la mobilità, renderla più agevole, se il movimento attivo risulta doloroso (in pratica è un esercizio analogo al mantieni-rilassa” e al “contrai-rilassa” utilizzati nelle PNF).
L’attuazione di questa tecnica con il nostro paziente è stata molto proficua, tanto che, nella fase di “mobilizzazione-tenuta”, si vedeva l’articolazione tibio-tarsica migliorare notevolmente nella flesso-estensione. Inoltre, il paziente riferiva una sensazione di sblocco, di migliore circolazione sanguigna e di forza. Quando il paziente è collaborante e motivato, questa tecnica riesce a dare risultati veramente ottimi, ma è da collocare dopo le altre tecniche che hanno un effetto di mobilizzazione dei tessuti e una preparazione della densità del connettivo.
Si può apprezzare la mobilità dei malleoli, che serve come parametro di riferimento per valutare l’azione di sblocco avvenuto. Nel nostro caso si verifica, a fine seduta, il miglioramento della ROM in flesso-estensione.
6) taping kinesiologico Bellia System
Questo metodo è basato sul processo di guarigione naturale che, assistendo il corpo nell’attivazione dei processi fisiologici dei tessuti traumatizzati, lo riporta nello stato di salute.
Tutti gli organismi hanno una capacità innata (determinata geneticamente) di auto-regolazione, che permette il raggiungimento di un equilibrio omeostatico e di una possibilità di auto-guarigione.
In risposta a un’aggressione esterna, il corpo inizia un processo di “riparazione-rimodellamento” attraverso la risposta infiammatoria.
L’ostruzione della circolazione dei fluidi può derivare da fattori intrinseci (all’interno dei tessuti) o fattori estrinseci, che esercitano una pressione interna.
Il processo infiammatorio è il fattore principale di “perturbazione” della circolazione dei fluidi e dà origine, dopo la fase acuta, a:
– aderenze – contratture
– squilibri muscolari – edema interstiziale
La superficie corporea coperta dal taping kinesiologico forma convoluzioni nella pelle che aumentano lo spazio interstiziale e, riducendo la pressione, permettono al sistema linfatico e sanguigno di drenare liberamente i fluidi. Si viene così a creare un “volano” di azioni che permettono al corpo di auto guarirsi biomeccanicamente.
Nel nostro caso è stato applicato il taping kinesiologico® con la seguente traiettoria:
– due ventagli decompressivi sulla cicatrice, dalla posizione di massima flessione dorsale per avere un’azione “di spazio” fra la cicatrice e il sottocute.
Con questa tecnica si è continuato l’effetto di mobilizzazione del trattamento per altri 5 giorni, poiché il nastro viene rimosso al quinto giorno.
7) Rieducazione del cammino:
Sono stati eseguiti degli esercizi per attuare una riprogrammazione del cammino corretto.
a) Marcia sul posto in appoggio
b) Rullata in appoggio
c) Cammino sulla punta dei piedi
d) Cammino sui talloni
d) Affondi laterali e frontali
e) Saltelli a piedi uniti ed alternati
f) Corsa in appoggio
d)conclusioni e considerazioni
La lesione del tendine d’Achille, che in passato era un evento molto raro, negli ultimi decenni è divenuta di osservazione sempre più frequente. La causa di questo aumento di casi sembra essere dovuta alla diffusione dello sport ad un più largo strato di popolazione.
Questa lesione viene riscontrata più frequentemente in soggetti di sesso maschile con età compresa tra i 30 e i 60 anni.
La lesione dell’achilleo si può classificare, a seconda della sua eziologia, in traumatica, microtraumatica e dismetabolica e/o infiammatoria.
Nel paziente preso in esame le modalità dell’evento lesivo constano in una brusca contrazione muscolare associata ad un allungamento dell’unità muscolo-tendinea.
Le possibili cause che portano all’insorgenza della patologia da sovraccarico sono riconducibili a determinati fattori intrinseci, come la variabilità anatomica, malattie dismetaboliche, età dell’individuo, anni di attività agonistica, e a fattori estrinseci, come l’allenamento incongruo, i terreni da gara e le calzature.
Lo stimolo meccanico, per quanto ripetitivo ed intenso, non è da solo sufficiente a spiegare l’insorgenza della patologia da sovraccarico. Fattori genetici, come l’aumentata espressione di geni che portano ad un netto aumento di collagene III o l’espressione di quelli che determinano il gruppo sanguigno 0 e fattori acquisiti, come allenamento ed età in cui si è iniziata l’attività sportiva, sono anch’essi responsabili dell’insorgenza di questa patologia.
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Il trattamento riabilitativo acquisisce una fondamentale importanza per il ripristino completo delle funzioni perse.
L’intervento riabilitativo proposto è un tipo di intervento integrato, che si basa sull’utilizzo di molteplici tecniche e procedure, che ha comunque sempre tenuto conto del fisiologico processo di riparazione del tessuto lesionato oltre alle complicanze che ha avuto il paziente dopo l’intervento riparativo.
Il paziente è stato preso in carico in fase successiva, cioè in quella di rimodellamento tissutale. Gli obiettivi da raggiungere sono stati il recupero completo dell’articolarità e della forza muscolare, il recupero dell’elasticità tissutale, l’ottimizzazione del recupero tendineo e la rieducazione del cammino e della corsa.
Questa fase è stata rallentata dalle complicanze della stabilizzazione della cicatrice chirurgica che si era riaperta.
Successivamente viene indicato al paziente, in forma autonoma, un lavoro di rinforzo muscolare, che può protrarsi anche dopo il 6° mese dall’intervento, come si è potuto evidenziare dallo studio effettuato da Alfredson e coll.(1996). Con questo studio si è constatato che 6 mesi di riabilitazione non sono sufficienti per il recupero completo della forza concentrica e soprattutto eccentrica della planta-flessione.
Prevenzione –specifica per gli sportivi
a) variare i percorsi e le superfici d’ allenamento
b) non sottovalutare anche un lieve sintomo al tendine d’Achille
c) scegliere con la massima cura e precisione le calzature, e quando si cambia marca: usare la nuova scarpa gradualmente nel tempo e non subito per tutto l’allenamento
d) fare almeno una volta all’anno una barostabilometria per valutare la simmetria di carico podalico
e) dopo un periodo di riposo o dopo rientro per infortunio, aumentare in modo graduale il carico allenante
f) dopo un infortunio agli arti inferiori avere molta cura alla tecnica di corsa per evitare asimmetrie di carico
g) se siete reduci da cure antibiotiche tenere presente che queste sostanze possono favorire le tendiniti
h) curare in modo scrupoloso l’idratazione generale
specie durante il periodo agonistico, lo scorrimento del tendine dentro la guaina è fisiologico se l’idratazione è adeguata
i) il taping kinesiologico® è un valido aiuto sia in fase agonistica che riabilitativa
j) eseguire in modo regolare dopo ogni seduta d’allenamento lo stretching specifico
k) sottoporsi a sedute di massaggio defaticante periodiche nel periodo agonistico o di carico
l) fare dei piediluvi con preparati decongestionanti adatti
Questo lavoro originale sul trattamento riabilitativo delle cicatrici retraenti in postumi di rottura del tendine d’Achille è stato condotto seguendo lo spirito della ricerca di modalità innovative per migliorare l’iter riabilitativo ed ottimizzare i tempi, sempre nel rispetto delle condizioni del paziente.
e)bibliografia e sitografia
- R. Bellia – Generalità sull’applicazione del taping kinesiologico –
.- www.kinesiobellia.wordpress.com Bergamo 2008 –
- R. Bellia – Traumatologia nel pattinaggio a rotelle corsa: utilizzo dell’InterX e del taping kinesiologico nei piccoli traumi da sport. – Bergamo 2008 –
- Rosario Bellia – Il taping kinesiologico: un metodo molto efficace anche nel pattinaggio a rotelle specialita’ corsa. www.kinesiobellia.wordpress.com di. 2006
- Rosario Bellia – La sindrome del compartimento anteriore della gamba, un male che affligge tanti pattinatori.- www.kinesiobellia.wordpress.com2005
- Rosario Bellia – Trattamento riabilitativo dopo trasposizione del tendine rotuleo secondo Fulkerson – .- www.kinesiobellia.wordpress.com 2009
- Jacopo Tesi – Tesi di Laurea in Fisioterapia, Università degli Studi di Firenze Anno Accademico 2003/2004
http://www.kinesiobellia.wordpress.com.htm
I nastri elastici usati per le applicazioni dello studio sono Kinsiotape e Visiotape della ditta : Visiocare Srl . Vedano al Lambro (MI) www.visiocare.it
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